martedì 31 maggio 2011

Dai, ma, cazzarola, soggetto, virgola, verbo, quello, no,

Che poi bisogna dirselo, a bocce ferme e testa fredda

Il palco di Pisapia ha mostrato come lo stanco, e ormai desueto, spirito degli anni Settanta si sia preso la rivincita sugli anni Ottanta (il bravo Massimo Gramellini oggi sulla Stampa ha preso un abbaglio colossale). Stormy Six e Radio Popolare. Lella Costa e Roberto Vecchioni. Dario Fo e Vittorio Gregotti. Umberto Eco e Gae Aulenti. L’Elfo e il Berchet. Studenti e signore della buona società. Genitori nostalgici dei loro vent’anni e figli allevati con il mito del Sessantotto.
Per errori, colpe e responsabilità degli avversari, a Milano hanno vinto i ventenni degli anni Settanta. Non quelli di oggi. E nemmeno quelli di vent’anni fa. Naturalmente i ventenni degli anni Settanta non sono più i rivoluzionari di allora. Sono moderati, non più maoisti. Sono rispettabili, non sono più convinti che il Pci abbia tradito la rivoluzione. Sanno di aver sbagliato tutto, allora. Sanno di aver perso. Sanno anche che è stato un bene che abbiano perso. Sono solo nostalgici dei bei tempi andati, quando erano giovani, liberi e pronti a fare la rivoluzione. Il ritratto della rivincita di una generazione nel dialogo di un film di Gabriele Salvatores: «Erano anni che non mi divertivo così». «Cos’erano?».«Erano aaanni».

E ora

Pensate alla destra milanese, a chi ha messo su la campagna elettorale della Moratti; a chi ha straparlato di BR nelle procure, di zingaropoli, di droga libera nelle strade; alla prima pagina di un quotidiano che ha parodizzato Pisapia con maglietta di Che Guevara e turbante in testa, ai ciellini; al video dei due leghisti sulla panchina, alla faccia di Formigoni e a tutto il repertorio di canzoni da chiesa nelle versioni peggiori. Pensate a tutto questo, e cantate in coro:

Saperla lunga

lunedì 30 maggio 2011

And I knew if I had my chance that I could make those people dance, and maybe they’d be happy for a while

Al Post, hanno messo online un articolo che racconta la storia di questo video:


E' uno dei più bei filmati che ho visto ultimamente.
Perché dal punto di vista formale è riuscitissima l'idea di farlo in piano-sequenza, senza mai interrompere la ripresa. Oltre che riuscitissima, suggerisce anche l'enorme impegno di fondo: questo tipo di realizzazione richiede che le migliaia di abitanti protagonisti siano state fin dall'inizio pronte in attesa del cameraman, e che al primo grosso errore si sarebbe dovuto ripetere tutto daccapo. (Se vi piace lo spunto di base, suggerisco due film che l'hanno messo in pratica efficacemente: Arca russa e Nodo alla gola.)
Perché American Pie è una canzone con una storia gigantesca di suo.
Perché Grand Rapids è una città di quasi 200.000 abitanti. E' grande più o meno come Brescia. E mi piace molto l'idea che una comunità così grande abbia investito tempo e passione per fare una cosa collettiva e goliardica, vivace e a suo modo impegnata. C'è addirittura una forma di senso civico, in questo video. C'è una forma di patriottismo, declinato nella sua accezione più libera da connotati politici: fare cose insieme ad altra gente in nome della comunità di cui si fa parte. Hai detto niente.

venerdì 27 maggio 2011

The best argument against democracy is a five-minute conversation with the average voter

Giovanni Fontana ha scritto questa cosa. Non so se ha ragione, però ha un buon argomento dalla sua. Questo:

Dopo la merdosa, nel senso di gettare merda, campagna elettorale di Letizia Moratti, come ha scritto Francesco, “Nessuna sconfitta potrà essere netta e umiliante come quella che si meritano”. Anche prendesse il 2%, come sappiamo che non prenderà, sarebbe troppo. Il passaggio successivo è un altro: questo è un test per misurare il buon senso delle persone, ma – di conseguenza – è anche un test per misurare la nostra fiducia nel buon senso delle persone. Chi è pessimista rispetto alle possibilità di Pisapia, necessariamente si porta dietro un pessimismo nei confronti degli elettori.

Così mi son chiesto: qual è il mio pronostico? E qual è il pronostico degli altri? È una sorta di scommessa sul decoro. Io metto il mio pronostico nei commenti, fatelo anche voi: poi faccio una specie di statistica e vediamo quanto ci siamo andati vicino.

L'idea di fondo è che una campagna elettorale come quella della Moratti, in qualche modo, vada al di là del bene e del male intesi in senso politico. Che anche un elettore di destra dovrebbe perlomeno -perlomeno- mettere in discussione il candidato per cui ha votato e lo schieramento per cui simpatizza, in ragione dei mezzi che ha utilizzato per conseguire i fini che si è prefissato. Che chiunque disponga di un senso morale -e non moralistico- dovrebbe andare a votare con gran calma, e tenendo bene in mente toni e contenuti della propaganda messa su dalla destra milanese. Ripeto: non so se ha ragione, ma un argomento ce l'ha. Quindi dico la mia: Pisapia 56% - Moratti 44%.

And the dreams that you dare to dream really do come true

Stasera, a Milano, c'è un arcobaleno molto bello.



mercoledì 25 maggio 2011

Life is a shit. And then you die

Fare benzina sulla strada del ritorno da Melzo, inserire 20 euro nell'apposita fessura e scegliere la pompa che non eroga carburante senza piombo, attendere 5 minuti un avventore a cui spiegare la situazione e recuperare i 20 euro, rinunciare una volta passati i 300 secondi, fare benzina alla pompa giusta, vedere arrivare una macchina a fare rifornimento a quell'altra quando ormai è troppo tardi, bestemmiare; tornare casa e accorgersi di aver devastato due gilet senza maniche in lana, per averli lavati in lavatrice -programma delicati- invece che a mano come ci si era prefissati la mattina stessa, bestemmiare; farsi un caffè e rovesciarlo tutto per terra, ustionandosi nel tentativo di salvare la tazzina dallo schianto, bestemmiare; sentire il doppio bippino che notifica la ricezione di un sms, non trovare il telefonino fino a quando si realizza di averlo messo nel frigo facendo il caffè, rinunciare alla bestemmia per sopravvenuta consapevolezza dell'incapacità odierna di stare al mondo in modo accettabile.
Mettere su i Sex Pistols perché la vita è una merda.

Hear my words that I might teach you

Certo che fa caldo oggi, eh?
Fa molto caldo, per essere fine maggio. E siccome sto qui in università protetto da un moderato livello di aria condizionata ad aspettare che il prof con cui sono in tesi liquidi i 10 laureandi che mi stanno davanti, provo a mettere giù una roba che da qualche tempo ritorna in successive discussioni che ho intrattenuto recentemente. Il tema è quello della persuasione, del convincere il prossimo delle proprie ragioni. E visto che l'ultimo interlocutore mi ha risposto "Neanche per il cazzo!" quando ho suggerito che c'è una relazione (non che sono la stessa cosa, o che molto spesso lo sono, o che in fin dei conti, gratta gratta, dà retta a un pirla, siamo lì: che-c'è-una-relazione) fra la capacità pedagogica e quella di persuasione, provo a mettere in fila qualche pensiero disordinato e grossolano sull'argomento. Perché mi sembra che fra la posizione per cui parteggio e le reazioni che suscita ci sia uno scarto eccessivamente incongruo. Quindi magari mi spiego male io, e vediamo cosa salta fuori.

Ah-ehm:
A livello generale, penso sia una buona cosa convincere il prossimo delle proprie ragioni. E "convincere" significa "convincere". A livello particolare, è molto buono convincere il prossimo di cose buone, e molto cattivo convincerlo di cose cattive. (Il che riconduce il tutto alla differenza fra cose buone e cose cattive. Tema spigolosetto e complessino. Ma ci stiamo lavorando, amigos.) Si può poi aprire una discussione sulle numerose modalità di tentativi di convinzione: io mi limito a pensare che siano accettabili e degni tutti quelli che usano strumenti dialoganti e logici, che lo facciano in trasparenza e a ragion veduta. Penso che la capacità di persuasione vada interpretata come un contenitore e non come un contenuto. Che non sia necessariamente sinonimo di arroganza o presunzione intellettuale. Che nel corso della storia di questo pianeta una quantità di persone di valore e coraggio si è spesa nel tentativo di professare la validità delle proprie idee: e per fortuna che lo ha fatto. Per fortuna che ci sono state le suffragette, quei bravi ragazzi del Civil Rights Movement, gli organizzatori della campagna propagandistica che ha portato alla stesura della 194 in Italia, eccetera. (Avrei potuto citare quello là che è morto il venerdì di pasqua, ma ho deciso di escludere esempi estremizzanti. Pat pat sulla spalla.)
Penso che ci sia una differenza sostanziale fra imposizione e persuasione, fra lavaggio del cervello e convincimento. Anzi, non c'è una differenza sostanziale: sono proprio due ambiti estranei uno all'altro. La persuasione rispetta la libertà personale, l'imposizione no. La persuasione non è nemica del dialogo e dello scambio di idee, ma un suo ingrediente fondamentale. Non c'è niente di male nel riuscire a convincere un ragazzino a non sputare in faccia ai suoi coetanei, un fascista a cambiare schieramento o un afro-americano ad andare a iscriversi ai registri elettorali. C'è semmai qualcosa di male nel convincere l'afro-americano a suon di botte. Ma qui si torna alle modalità esercitate, ai mezzi e ai fini. Insomma, ho letto anch'io 1984 di Orwell, e credo di averlo capito. Parla di un popolare programma Tv, no?

Provando a sviluppare un punto di vista molto personale e altrettanto limitato (ma almeno è una partenza, e converrete nell'ammettere che per me vale qualcosa), mi viene spontaneo affermare che la maggior parte delle -mon dieu- cose in cui credo (e che reputo complessivamente buone, visto che ci credo) non me le sono inventate io. Me le ha insegnate qualcun altro. Una lezione a scuola, un libro, la società in cui vivo, una discussione, un'esperienza, il banale trascorrere del tempo e diversi altri fattori. Ognuno con il suo peso, la sua dimensione, la sua rilevanza, la sua portata eccetera. E in alcune delle cose -piccole e grandi- in cui credo, non ho sempre creduto. Ci credo oggi, non ci credevo qualche anno indietro, e fra qualche anno chi lo sa. Ho spesso cambiato idea, insomma, e quando ho cambiato idea ho altrettanto spesso frequentato una spinta di persuasione. Sono stato convinto che la mia idea non solo era opinabile, ma che ne esisteva una preferibile perché più ricca, completa, argomentata: che fosse onesto e razionale sostituirla con quella che avevo in precedenza.
Quello che più mi sta a cuore sottolineare è quanto segue: non provo altro che gratitudine e ammirazione per lezioni, libri, discussioni eccetera che mi hanno persuaso, che mi hanno fatto cambiare idea. Perché -dal mio punto di vista, che naturalmente non esclude l'ulteriore eventualità di prendere una cantonata, e di cambiare idea un'altra volta- quelle lezioni, libri, discussioni eccetera mi hanno fatto cambiare una cosa peggiore con una migliore, una parziale con una più completa, una superficiale con una più saggia.

Non abbiamo alcun motivo razionale, a priori, per rifiutare di concedere la possibilità che il prossimo abbia un'idea migliore della nostra. (A posteriori no: a posteriori, le posizioni e le idee si distinguono in buone, cattive, ottime, pessime e la solita sbarcata di sfumature che stanno nel mezzo.) Persuadere il prossimo non significa certo -almeno non per me- escludere l'eventualità che sia invece il prossimo a convincere me. A ben pensarci, quindi, la benvenuta consapevolezza della possibilità di sostenere un'opinione sbagliata è complementare alla coscienza della possibilità di poter essere convinti da qualcuno che la propria opinione sia rivedibile e/o da rivedere. Cercare di convincere il prossimo della validità delle proprie ragioni significa automaticamente riconoscere l'eventualità simmetrica e opposta: cioè che sia il prossimo a poter convincere noi della validità delle sue. Quando pensiamo "Magari mi sbaglio", in un modo o nell'altro, pensiamo "Magari c'è qualcuno -o qualcosa- che mi può convincere che mi sbaglio". Il che significa riconoscere e accettare implicitamente la possibilità che l'interlocutore abbia un'opinione più intelligente e ponderata della nostra, e che si possa esserne persuasi, a discussione terminata. Tutto quanto mi sembra molto altruista, funzionale allo scambio di idee e all'arricchimento personale.

In estrema sintesi: ho imparato delle cose nella mia vita, e spesso le ho imparate perché "qualcuno" mi ha convinto che fossero giuste e desiderabili, che valesse la pena impararle. Non so se "qualcuno" fosse intenzionato a convincermi. E non m'interessa. Perlomeno, le intenzioni non m'interessano più del risultato: cioè che mi ha convinto. Non mi sento offeso quando qualcuno cerca di convincermi. E siccome sono molto grato a chi effettivamente mi ha convinto, non vedo per quale motivo dovrei rifiutare la possibilità di far cambiare idea al prossimo, come se questa possibilità equivalesse automaticamente a offendere le sue opinioni: senza dimenticare la differenza enorme che c'è fra "convincere" e "dover convincere", senza ricorrere a toni evangelizzanti, senza quel fastidioso senso di missione che trasforma Don Chisciotte da potenziale eroe a effettivo coglionazzo, senza la pretesa di considerare la mia opinione più seriamente della concretezza delle cose.

Fine.
Questo è quello che penso.
Se mi convincete che mi sbaglio, ve ne sarò molto grato.

Don't panic

Io non ne sapevo molto, e probabilmente arrivo ultimo nel segnalarlo. Ma insomma, pare che oggi tutti gli incistati per le cose di Douglas Adams si aggirino per il mondo con un asciugamano addosso. Una roba che non farei mai -anche perché non sono così fan di Adams- però abbastanza simpatica e nerd.
La si organizzasse per La Versione di Barney, sarei molto felice di fumarmi un Montecristo e farmi un goccio di Macallan.

Ps: non so se per caso o per aver letto queste parole, una lettrice mi segnala che al Post hanno messo online un video relativo alla storia del Towel day. Qui.

giovedì 19 maggio 2011

Prendersi cura l'uno dell'altro, cantando il rock'n'roll

Settimana scorsa, ho comprato il biglietto per il concerto che gli Arcade Fire (insieme ai White Lies) faranno all'Arena Civica di Milano il 5 luglio. Io sono piuttosto impallinato per i canadesi in questione, e nonostante la comitiva partecipante al concerto sia composta da me stesso e nessun altro, non vedo l'ora di andare a sentirli.
E siccome non vedo l'ora di andare a sentirli, in questi giorni sto trascorrendo abbondanti quarti d'ora su Youtube, guardando filmati di loro vecchie esibizioni. Ci sanno fare, parecchio. E poi sono piuttosto scenografici, soprattutto quando fanno canzoni che prevedono l'utilizzo di violini. Canzoni come Wake Up, il pezzo con cui solitamente chiudono i concerti.
Un'altra piccola cosa che mi ha colpito guardando i filmati è il saluto finale con cui Win Butler introduce il pezzo. Si rivolge al pubblico e dice una cosa tanto bella quanto fuori luogo, in un contesto simile. Una roba che ti aspetti dalla bocca di un genitore che esprime l'ennesima raccomandazione ai suoi figli, un attimo prima di sorridere. Take care of each other. A una quantità di sconosciuti riunitasi per assistere all'esecuzione dei suoi pezzi, Butler dice Take care of each other. E' una piccola cosa da niente, ma in questi giorni è la mia piccola cosa da niente.


Oppure:

martedì 3 maggio 2011

Post hoc, ergo propter hoc

La mattina in cui il mondo ha saputo della morte di Osama bin Laden, stavo in cucina a fare colazione con tè e biscotti. Ancora non sapevo che quel giorno avrei bevuto 5 tazze di tè, ma questo non c'entra. Quello che c'entra è che mentre facevo colazione, un coinquilino è venuto in cucina dopo essersi svegliato. Dopo il classico e bisbigliato saluto mattutino, gli ho detto della notizia.
Un paio di commenti dopo, ha detto una cosa che mi ha abbastanza divertito. Ha detto una cosa tipo: "Vedrai che qualcuno darà il merito al Papa." Dopo aver ridacchiato, ho risposto: "Sì, probabile."
Ho appena letto che quel qualcuno ha poi trovato un nome e un partito di appartenenza: Michaela Biancofiore, Pdl.

lunedì 2 maggio 2011

Due pensieri accessori alla morte di bin Laden

Il primo è relativo alla dichiarazione del portavoce del Vaticano, secondo cui:
Di fronte alla morte di un uomo, un cristiano non si rallegra mai, ma riflette sulle gravi responsabilità di ognuno davanti a Dio e agli uomini e spera e si impegna perché ogni evento non sia occasione di una crescita ulteriore dell'odio, ma della pace.
No. Trascuriamo la responsabilità davanti a dio, che è una roba di fede. Non penso che i morti siano tutti uguali. Penso che quando muore uno stronzo a quei livelli qui, sia normale essere contenti. Nel più ideale dei mondi ideali, avrei preferito che Osama venisse regolarmente processato e condannato nel rispetto del diritto internazionale, più o meno. Ma mi rendo conto che le cose non possano avere sempre la forma di un dépliant informativo sulle diete che in 30 giorni ti fanno perdere 30 chili. Quello che abbiamo è che Osama bin Laden è morto. E' una bella notizia. Il mondo è un posto migliore. Evviva.

Il secondo è relativo, diciamo così, all'amor patrio, e al concetto per cui non si può pretendere che sia un sentimento incondizionato, offerto a priori, sempre e comunque. L'idea è che amare la propria patria non è come firmare un assegno in bianco. Che un po' la patria deve meritarselo, di essere amata. Che servono vittorie, servono obiettivi raggiunti: servono cose buone e collettive perché l'amor patrio possa avere un suo spazio credibile nell'opinione pubblica.
Nella scorsa notte americana, i cittadini di New York e Washington (ma pure di altre città) hanno festeggiato parecchio. Sono scesi in piazza, di notte, hanno fatto casino e si sono rallegrati. L'esercito comandato dal loro presidente ha raggiunto un obiettivo che perseguiva da tempo, e loro ne sono orgogliosi. La cosa importante è che quest'orgoglio deriva da un successo fresco, recentissimo. E' un orgoglio che non risale a niente che sia avvenuto prima del week-end, che pesta i piedi nel presente, e che si esprime a ragion veduta.
Come ho già scritto qualche tempo fa, a me dell'amor patrio importa molto poco.
Però quando ho visto questa foto mi è venuta un po' d'invidia, dannazione.