mercoledì 29 febbraio 2012

Sostiene Abbà

Stavo in auto, stamane, e ascoltavo la rassegna stampa di Massimo Giannini su Radio3. A un certo punto, c'è stata la sintesi degli articoli pubblicati a proposito della vicenda di Luca Abbà e il conduttore ha letto tutto il pezzo di Gramellini, che rimette in fila con intelligenza un pezzo di cinismo disgustoso e autocompiaciuto che circola su alcuni giornali di destra su questo tema. 
Il punto è che c'è uno che soffre all'ospedale, e pure tanto. In casi come questo, l'analisi di motivazioni e responsabilità della sofferenza non possono stare sullo stesso piano della sofferenza stessa. Le persone benintenzionate sperano che smetta di soffrire al più presto. Io gli auguro di rimettersi in sesto.

E però penso sia opportuno aggiungere un'altra cosa: quello che ha fatto Luca Abbà, calato in un contesto democratico come quello italiano, sposta il piano della discussione in una misura inaccettabile. Non si può discutere di un'opera pubblica con una persona che ritiene di manifestare e protestare mettendo in pericolo la sua stessa vita. Perché un secondo prima stai parlando con il tuo interlocutore di un treno che deve passare in una montagna traforata, e un secondo dopo dell'esistenza medesima del tuo interlocutore. L'effetto prodotto dalla scelta neutralizza qualsiasi argomentazione, qualsiasi dato, qualsiasi punto di vista. Che gli dici a uno che, per manifestare le proprie ragioni, decide che proprio quelle ragioni passano in secondo piano rispetto alla bontà della causa e dunque si arrampica sui tralicci dell'alta tensione? Che gli rispondi a uno che introduce il pericolo della sua vita nei termini di una discussione dialettica? Il senso di missione di cui si autoinveste l'interlocutore non è compatibile con la possibilità di scambiare idee e punti di vista in modo equo. E' una cosa che sta a metà fra il ricatto morale e l'imbroglio. Con tutte le considerazioni del caso su mezzi, fini, intenzioni, risultati, eccetera.

Ps: il titolare del presente blog riserva una quantità equa di pernacchie sia a chi sostiene queste posizioni sia a chi sostiente queste.

Aufklärung ist der Ausgang des Menschen aus seiner selbstverschuldeten Unmündigkeit

Fra i tanti, uno dei motivi per cui mi piace leggere Il Post è rappresentato da quest'articolo
Perché quando mi sono alzato, stamattina, non avrei mai potuto prevedere che nel corso della giornata avrei dedicato un quarto d'ora alla riflessione su un tema di dibattito vertiginoso, colossale e spiazzante come quello proposto nel pezzo. 
Al di là del bene e del male, come direbbe quello: foderato di curiosità, di voglia di capire le cose, di disprezzo per qualsiasi pensiero automatico e per ogni imperativo categorico. Uno si mette e legge un articolo che già a partire dal titolo sottrae la discussione al senso comune: come si fa a praticare l'aborto dopo il parto?
Secondo me il significato più efficace di quell'articolo, quello che -credo- spieghi definitivamente le ragioni della sua pubblicazione è che non c'è mai niente di male a mettere in discussione le cose. Anche quelle che ci sembrano indiscutibili, ogni tanto.

venerdì 24 febbraio 2012

Che mi tocca scrivere

Disprezzo in modo piuttosto persuaso l'attività politica di Daniela Santanchè, ma ritengo giusto difenderla dall'idiozia contenuta in questo banner che circola in rete da un po'. Diversi miei amici di Facebook l'hanno condiviso. Alcuni di loro votano a sinistra.
Lo so: è un banner del cavolo, messo su da chissàchi e vai a sapere per quali ragioni. Di per sè è una cosa da poco. I problemi sono altri. Condividere non costa niente. Un click. Però penso che questo piccolo fenomeno contenga un frammento di un problema più ampio, che val la pena discutere e ridiscutere. 
E' (è stato?) uno degli effetti più preoccupanti dell'antiberlusconismo, cioè l'abdicazione alla ragionevolezza e all'analisi delle cose in nome di una battaglia politica senza quartiere. Dato che il fine è combattere la fazione avversaria, qualsiasi mezzo lo giustifica: vale tutto, liberi tutti. 
Attenzione: non sto dicendo che tutti gli antiberlusconiani abbiano adottato questa strategia. Però molti sì, e il risultato è stato un rischieramento, straordinariamente sintetizzato da Staino con questa striscia, di un sacco di persone di sinistra su posizioni rigide, conservatrici, manettare: posizioni di destra. Poi c'è il sospetto che siano posizioni espresse così, un po' per influenze esterne e un po' per dire questo invece di quello. Ma è un sospetto che non mi convince del tutto, che non cancella la sensazione che un pezzo dell'opinione pubblica viva il dibattito politico da una prospettiva à la guerre comme à la guerre.
E siccome vale tutto, siccome la missione è più importante degli strumenti con cui si cerca di portarla a compimento, vale qualsiasi tipo di aggressività, vale ogni cattiveria da bar. Vale perculare Brunetta perché è basso, Ferrara perché è obeso, Tremonti perché soffre di rotacismo. Vale anche dare della bocchinara a una che sta dalla parte di Berlusconi: come fanno certi ragazzi con i loro pennarelli sulle porte del cesso, a scuola. 
Come se la cosa in sè possa configurare un'offesa: e anche se fosse, non si offendono gli avversari politici. E' una manifestazione del rischieramento di cui sopra: sostenere posizioni da preti pur di dare addosso a uno che sta nella fazione opposta. Mentre qualsiasi posizione laica e progressista non può andare oltre la riaffermazione di un principio definitivo: finché non mette in discussione la compatibilità del suo stile di vita con la carica politica che ricopre, Daniela Santanchè ingoia quel che le pare. Daniela Santanchè col suo corpo fa quel cazzo che ha voglia.

giovedì 23 febbraio 2012

"E però anche lui"

Se lo chiedete a me, l'intervento di Mentana a proposito della sentenza comminata a Formigli è un caso da manuale di argomentazioni deboli, parziali e non pertinenti a sostegno di un'opinione condivisibile. L'unico suo argomento buono, secondo me, è quello relativo alle cautele e alle paure che altri giornalisti potrebbero avere nel realizzare un'inchiesta in futuro, con il ricordo vivo della multa esorbitante che Formigli -se gli andrà male nei prossimi gradi di giudizio- dovrà pagare. Anche a me la multa sembra eccessivamente severa, ma la mia percezione è di natura personale, non giuridica. 
Ed è tutta qui, la differenza. Una volta che la si accetta come espressione di un potere dello stato, si può discutere una sentenza, naturalmente. Ma discuterla significa entrare nel merito del caso, delle carte processuali, delle dinamiche del dibattimento, delle motivazioni -non ancora pubblicate- che ne sostengono la pena comminata. Si può discuterla alla luce di ricerche approfondite e conoscenze consolidate: non alludendo alle concessioni in comodato delle automobili ad altri giornalisti, o alla posizione fiscale dell'amministratore delegato della FIAT. Perché sono cose che non c'entrano un cazzo.

"Bad people can't be recognized on sight. There's no point in trying."

Dopo l'attacco dell'undici settembre, per Aaron Sorkin ci fu un po' il problema di tornare a lavorare sullo script di The West Wing. La serie racconta le vicende relative all'attività del Presidente degli USA e del suo staff operativo, e in quel periodo il dibattito politico era infiammato dalla centralità dell'integralismo islamico: le due cose, messe insieme, ponevano diversi problemi di misura, di tono, di equilibrio.
Sorkin decise di affrontare il tema in una singola puntata, esplicitamente slegata dal flusso narrativo precedente e successivo. Ne uscì una piccola meraviglia televisiva intitolata Isaac and Ishmael. Verso la fine dell'episodio, l'intelligenza del personaggio di Josh viene per un attimo accompagnata da uno slancio retorico che produce il seguente insegnamento:
Learn things. Be good to each other. Read the newspapers, go to the movies, go to a party. Read a book. In the meantime, remember pluralism. You want to get these people? I mean, you really want to reach in and kill them where they live? Keep accepting more than one idea. Makes 'em absolutely crazy.
Lui si rivolge a una classe liceale in visita alla Casa Bianca. These people sono gli integralisti islamici.
E' stata la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho letto delle conseguenze, tanto tragiche quanto prevedibili, delle proteste di cui parlavo ieri. Con tutte le considerazioni del caso sulla quantità di risvolti pratici che bisogna mettere in conto nell'attribuire significato all'aggettivo "crazy".

mercoledì 22 febbraio 2012

I may refrain from insulting you. I may refrain from publishing a cartoon of your prophet. But it’s because I fear you. Don’t think for one minute that it’s because I respect you (cit.)

Ci sono un sacco di libri a cui devo l'offerta di contenuti e riflessioni secondo me di qualità straordinaria, che ritengo fondamentali nella mia formazione personale di criteri orientativi, punti di vista, senso delle cose, eccetera. I primi che mi vengono in mente sono questo, questo, questo e questo. E se domani venissi a sapere che qualche scemo vero ha organizzato un rogo in cui ha dato alle fiamme proprio quei volumi, penserei che si tratta di una cosa scema fatta da uno scemo vero, appunto. 
E' la differenza sostanziale che passa tra chi pensa che un libro possa contenere dei significati importanti e chi pensa che possa contenere la rilevazione rivelazione di una verità trascendente; di conseguenza, è la differenza fra chi non crede in una verità trascendente e chi invece sì, è la differenza fra un ateo e un religioso: io non m'indignerei, non protesterei e soprattutto non mi sentirei offeso. 
E' bene essere indipendenti dall'ubriacante importanza che viene attribuita ai simboli da parte delle persone di fede: l'acqua santa è acqua, il vino santo è vino, il segno della croce è un gesto che si compie con le mani, l'eucaristia è pane insipido e senza lievito che si appiccica al palato, inginocchiarsi davanti al prete è scomodo.
E quindi bruciare un libro è bruciare un libro, bruciare un libro è una cosa da scemi, avere a cuore il pluralismo significa voler vivere in un mondo libero, vivere in un mondo libero significa farsi una ragione degli scemi che fanno cose da scemi. 
Il resto è fanatismo: per questo motivo penso che i soldati americani siano stati scemi. Perché non si provocano i fanatici, non li si sfida sul piano della simbologia religiosa. Perché i fanatici sono fanatici, e i fanatici fanno cose da fanatici. E io ho un sacco paura delle cose da fanatici.

martedì 21 febbraio 2012

Altro che Dante e Kevin Spacey, Paola, dai retta a me

Oh, finalmente. 
Finalmente posso scrivere due righe di contestazione persuasa e argomentata alle parole di un ministro. Trattasi peraltro del ministro della giustizia, di cui ho pensato molto bene nelle scorse settimane. In riferimento alla pubblicazione di redditi e patrimoni dei membri del governo, Paola Severino ha infatti detto che:
Chi guadagna e paga le tasse non è un peccatore, e va guardato con benevolenza, non con invidia.
Se da un lato sono d'accordo nel valorizzare con serenità l'accumulo di una ricchezza guadagnata nel rispetto della legge e soprattutto nel subissare di fischi qualsiasi pensiero automatico relativo ai ricchi, ai passatempi dei ricchi, ai pregi dei ricchi e ai difetti dei ricchi, virgola, dall'altro contesto la valutazione dell'invidia che trapela dalle parole del ministro. 
Intanto perché l'invidia è un sentimento, un'inclinazione, una disposizione della sensibilità umana. E come tale, non può essere giudicato a priori. (Guardate che vi sento: "E allora l'odio?" Nemmeno l'odio, naturalmente, può essere giudicato a priori. L'odio contro le ingiustizie, posto che ci siamo accordati su cosa sia un'ingiustizia e quali siano le misure concrete da applicare all'odio, è una brutta cosa?)
E poi perché quello che possiamo valutare, a posteriori e a ragion veduta, sono i comportamenti delle persone, le intenzioni di partenza e i risultati ottenuti alla fine. Mica i sentimenti. I comportamenti sono ispirati -anche- dai sentimenti, certo, ma dato che attribuisco scarsissima rilevanza al capitolo della dottrina cristiana che ha ispirato quel bel film di David Fincher, non vedo quali siano gli elementi concreti in base ai quali si possano condannare tutte le condotte umane ispirate dall'invidia. Soprattutto, non vedo per quale motivo la benevolenza e l'invidia debbano escludersi vicendevolmente, come implica il ministro. Per certi versi, sono la stessa cosa. O meglio: nella misura in cui sono riconducibili a una forma di ammirazione, fra le due c'è un rapporto nemmeno così debole.
Io penso che l'invidia sia un sentimento benvenuto, positivo, fecondo, quando vissuto con spirito razionale e costruttivo. Penso che l'invidia nasca dall'osservazione di persone, dinamiche e ambienti che reputiamo preziosi e desiderabili - potrei dire "migliori": mica è una parolaccia - e che se praticata con la razionalità di cui sopra sia uno dei motori più importanti attraverso cui passa l'ambizione all'emulazione, al miglioramento di noi stessi: delle cose che sappiamo, che pensiamo, che diciamo, che facciamo. 
Io per esempio invidio molto Paola Severino. La invidio perché è esperta e competente di un settore della vita pubblica che mi interessa molto, la invidio perché ha avuto una carriera brillante, la invido perché gode di un livello altissimo di benessere e la invidio perché ricopre una carica di grande potere, in ragione della quale ha la possibilità di cambiare le cose e migliorare il mondo. 
Ma invidio pure qualsiasi insegnante di letteratura inglese, perché fa il mestiere che vorrei fare io, un giorno. 
Penso che nella sua dichiarazione il ministro facesse riferimento a quel pezzo di opinione pubblica annegata nel poverismo, nella recriminazione generalizzata contro i ceti abbienti e che pretende di denunciare i privilegi della casta a ogni sbattere d'ali. Ma semmai è sbagliato avere pregiudizi e costruire punti di vista e posizioni politiche su di essi: non essere invidiosi di chi vive "meglio" di noi.

Ps: perdonami la pistineria, Paola, ma è più forte di me. Chi guadagna e non paga le tasse non è un peccatore: è un ladro. C'è differenza.

lunedì 20 febbraio 2012

Vecchi mattacchioni e pietre focaie

Alcuni li studi a scuola, e puoi mandarli giù come lo sciroppo cattivo o appassionartene come un dodicenne coi videogiochi. Altri li conosci a scuola, che è diverso dallo studiarli a scuola, e possono attrarti o meno. Altri ancora li conosci perché le cose capitano, la scuola finisce e le meraviglie non rimangono nascoste. Meraviglie come Moby Dick, per esempio, che insieme a Delitto e Castigo è uno dei romanzoni ottocenteschi che preferisco. Che preferisco fra quelli che ho letto, naturalmente: e sono molti meno di quelli che hanno messo insieme la storia letteraria di quel secol superbo e sciocco (cit.) Quello che mi piace di Moby Dick è che c'è dentro tutto. E uno può sostituire Moby Dick con certe serie Tv, con le canzoni dei Pink Floyd, con la pittura di Botticelli, con i film di Sergio Leone, con le strisce di Schulz o con quel diavolo che gli pare, perché quel "tutto" assume immagini e contenuti fatti a forma del nostro modo di vedere le cose. Ma si ritorna allo stesso linguaggio, allo stesso registro, alla stessa giostra, quella che Melville ha sintetizzato, formidabilmente, avendo ben presente la differenza fra l'elargizione di un messaggio e la ricerca di un significato. Prediligendo la seconda, in questo modo equilibrato e spregiudicato insieme:
Ci sono certe bizzarre circostanze in questa strana e caotica faccenda che chiamiamo vita, che un uomo prende l'intero universo per un'enorme burla in atto, sebbene non riesca a vederne troppo chiaramente l'arguzia, e sospetti anzichenò che la burla non sia alle spalle di altri che le sue. Egli ingolla tutti gli avvenimenti, [...] non importa quanto indigeribili, come uno struzzo dallo stomaco robusto inghiotte pallottole e pietre focaie. E quanto alle piccole difficoltà e afflizioni, le prospettive d'improvvisa rovina, di pericolo della vita o del corpo, tutto questo, e perfino la morte, gli sembrano ingegnosi e amichevoli colpi, allegre spunzonature nei fianchi, somministrati dall'invisibile e inspiegabile vecchio mattacchione.
E poi ci sono risse e fiocine, sbronze storte e piccole storie sciagurate. Anzichenò: yuk!

mercoledì 15 febbraio 2012

Provateci voi, a guardare cosa c'è sotto il letto

Si scopre che è possibile raccontare storie di paiuia legate a elementi classici della tradizione horror senza restare intrappolati dall'impostazione stessa. Non è facile, ma non è impossibile. Si scopre che tutto sta nel come, nell'estetica di fondo, nella costruzione della scena, nell'atmosfera, nelle luci, nelle musiche, nella recitazione. Si scopre che l'azione passa in secondo piano: si riscopre che il perturbante vero, quello che ti fa socchiudere gli occhi e tirare le coperte vicine vicine al volto, benché scaturisca da atmosfere, ombre e porte chiuse, è efficace e -perdonate l'esibizione di tecnicismi- ti smuove della roba dentro. E ci riesce senza ricorrere a un intreccio drammatico e intenso, o spiazzante e violento.
Oltre alla consapevolezza critica con cui armeggia circa quattrocentosettantadue contenuti fondamentali della cultura statunitense, quello che colpisce di American Horror Story è proprio la capacità di spaventare col niente, con le attese, con i silenzi e con poco sangue. E a me il sangue piace, badate: mi piace aver paiuia di cascate di sangue, di corpi devastati, di budella che saltano fuori da tutte le parti, di mostri orripilanti e deformi, dello schifo totale, perentorio e bleahhhhh. 
Ma AHS sfrutta altri meccanismi, più convenzionali e di genere: gravidanze maledette, case infestate, terrori quotidiani e soprattutto gruppi, combriccole, comitive di morti che non vogliono saperne di riposare in pace. Tutto il repertorio celebre e frequentatissimo su cui funzionano le storie di paiuia fatte a forma di storie di paiuia, insomma. Ah, e poi c'è Jessica Lange che è brava, ma proprio tanto.
L'eleganza con cui AHS gioca con l'emisfero più cerebrale delle nostre percezioni mi ha affascinato nella misura in cui ha rievocato tutte le storie di paiuia che ho frequentato da piccolo. L'orrore americano, appunto: l'idea di un passato che ritorna dal sottosuolo -mica erano scemi, i Ramones- per assalire il presente. Si creano nuove inquietudini facendo riaffiorare quelle vecchie: arrivano, riaprono ferite e già che sono a dietro ci buttano sopra un po' di sale. 
E così, AHS tiene viva una tensione che non si esaspera in momenti di shock profondi o terrori incisivi ma si porta via un'inquietudine costante e sommessa. Guardare AHS è un po' come avere tre lineette di febbre. Continuamente, per tutti gli episodi: e le aspirine sono state scordate giù nello scantinato.

martedì 14 febbraio 2012

Affinità e divergenze

Ci sono un sacco di commentatori di sinistra -chiamiamola riformista, socialdemocratica o più concretamente blairiana- che stanno cercando di fare chiarezza attorno alle notevolissime differenze fra la precarietà del mondo del lavoro e la precarietà del mondo del lavoro italiano. Sono armati di una quantità di dati e di numerose argomentazioni. 
Il problema è che si rivolgono a un'area politica piuttosto sorda e irrigidita, da questo punto di vista. Cercano di svuotare il mare con un secchiello buco, ma ho la sensazione che sia opportuno dare retta a quel che sostengono.
Qui, per esempio.
Ricapitolando: mentre i prezzi delle case subivano aumenti vertiginosi, i salari dei lavoratori flessibili diminuivano a causa del loro scarso potere contrattuale, in un contesto in cui essi erano anche privi di sostanziali protezioni sociali. Il concorrere di questi tre fattori ha determinato la precarietà che ormai caratterizza larghissimi strati della popolazione under 40 (infatti, in mancanza di anche uno solo di questi fattori, il senso di precarietà individuale si affievolisce di molto).

giovedì 9 febbraio 2012

Liberi tutti

Io penso che il provvedimento su cui il governo ha posto la fiducia sia una cosa buona. Intanto perché destina quasi 60 milioni di euro all'edilizia carceraria, vale a dire uno dei comparti più impoveriti e trascurati dell'edilizia pubblica negli ultimi decenni.
Ma soprattutto perché sottrae una quantità di carcerati all'imposizione di vere e proprie torture fisiche e psicologiche. Parliamo di affidare alla detenzione domiciliare cittadini che hanno scontato quasi completamente la pena prevista dalla magistratura (e quella non prevista, ma gravissima, delle condizioni orrende delle nostre prigioni). Di questo: non di svuotare le carceri.
La Lega e l'Italia dei valori voteranno contro questo provvedimento. Non mi stupisco del consenso dei due partiti su questo tema particolare. Mi stupisco però di chi continua a considerare Di Pietro un liberale, un moderato, o uno che non sta né a destra né a sinistra. Di Pietro non è nessuna di queste cose: è un conservatore reazionario che talvolta appoggia le posizioni della peggiore destra manettara. L'importante è saperlo.